Ecco, dicono che nella guerra civile che si sta combattendo in Ucraina in questi giorni, di cui sappiamo pochissimo e nella quale, però, già ha perso la vita un giovane fotoreporter italiano, Andrea Rocchelli, (e da qui) oltre ad un numero sempre più alto di civili, abbiano parte attiva gruppi neonazisti (da qui).
Le "testimonianze" di seguito riportate, sono molto più antiche, ma il filo che le lega agli avvenimenti odierni continua, a mio parere, a rimanere molto forte.
Va aldilà della giustizia umana, dei concetti di democrazia o sovranità territoriale, di libere elezioni o regimi dittatoriali.
È, a mio parere, qualcosa che riguarda di più, la mente umana quando si dispone a far guerra. È incredibile come, all'improvviso, in una parte di mondo vissuta in pace per decenni, si inizi a sparare contro il vicino o, almeno, incuranti che sotto quegli spari il vicino possa essere ucciso. L'Ucraina è così lontana dall'Europa? I Russi sono sempre i soliti colpevoli? O, forse, non è solo un fatto di territorialità, di Nazioni? E se lo è, da che cosa è sostenuto? Lasciando fuori la giustizia.
Questa volta parliamo d’amore. Di due giovani che si amano. Ci chiamiamo Szymson e Gusta. Siamo di Cracovia e facciamo parte dello ZOB, l’organizzazione ebraica di combattimento. Siamo stati uccisi perché ci siamo battuti per la libertà. Ci siamo battuti da innamorati. Ci conoscevamo già prima della guerra, ma ci siamo sposati nel 1940, quando lui uscì la prima volta dal carcere. Quando nel gennaio 1943 Szymson fu arrestato, io mi consegnai alla Polizia. Il nostro giuramento era chiaro: “Niente e nessuno può dividerci”. Se vivere schiavi aveva poco senso, meno ne aveva vivere separati. Ci misero in due carceri diversi, ma la lontananza non significa nulla quando si ama, come nulla significò la tortura. Nell’aprile ci condannarono a morte, ma nessuno di noi voleva morire. Nel viaggio verso il patibolo entrambi riuscimmo a fuggire. Ci incontrammo per caso nel villaggio di Bochnia. Tornare insieme ci fece sentire ancora più liberi. L’amore era il nostro ossigeno, la nostra primavera. Cracovia ci sembrava ancora più bella. Il nemico ci faceva meno paura. Non potevamo che sorridere, perché il nostro amore era sfuggito alla morte. Riprendemmo a combattere. Nel novembre 1943, Szymszon venne tradito e io con lui. Anche quella volta mi feci arrestare senza opporre resistenza. Morire insieme era quello che avevamo sempre desiderato. Nessuno riuscì mai a separarci. Le storie raccontano tante cose. Le storie d’amore qualcosa di più. Quando vi dicono che l’amore vero è solo nei libri, non credete a queste bugie. Sono gli stessi che dicono che bisogna sempre obbedire, che non c’è nulla da fare, che bisogna aspettare, che bisogna avere pazienza. Ma come si fa ad avere pazienza quando si è innamorati?
Mio figlio si chiama Hans e l’ho avuto in carcere, quello di Barnimstrasse a Berlino. Mi hanno fatto partorire, me lo hanno fatto allattare e poi mi hanno uccisa. Hanno aspettato che io finissi. Poppata dopo poppata. Ero condannata a morte, ma allattare era un mio diritto di madre. Il potere è sempre stupido e preciso. Le regole naziste non ammettono eccezioni. L’apparenza prima di tutto, soprattutto quando la sostanza è sangue ed ignoranza. Anche mio marito è stato ucciso. In carcere. Prima di me. Suo figlio non lo ha mai visto. E io ho continuato a scrivergli, perché nessuno mi aveva informato della sua morte. Si sarà vergognato l’uomo della censura che leggeva quelle lettere? Non credo: pensava di fare solo il suo dovere. Ed è anche contro queste follia quotidiana e vigliacca che mi sono ribellata e che ho messo in gioco la mia vita. Contro questo nazismo tranquillo di centrini e soprammobili. Timbri e raccoglitori. Un nazismo che fa più paura dei panzer e delle sfilate, perché entra nel cuore e nella testa. Perché è fatto di gente normale come quella che ci ha tradito. Gente che forse non si è nemmeno sentita troppo in colpa. Noi eravamo la “Rote Kapelle” l’Orchestra Rossa. Passavamo ai sovietici informazioni su quando e dove colpire. Facevamo paura, perché dimostravamo che non tutti erano sfilate e centrini. Non tutti i tedeschi erano uguali. Non tutti i tedeschi erano nazisti. Facevamo paura, perché dimostravamo quanto i nazisti fossero deboli nella loro vuota ferocia. Per questo ho voluto un figlio, per questo sono stata orgogliosa di allattarlo. Rispondere alla morte con una nuova vita. Un’altra imprevista eccezione alle loro stupide regole.
Mi chiamo Hilde Coppi. Facevo la segretaria.
da qui
Lidice
Monumento ai bambini